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Repubblica — 04 settembre 2004 pagina 7 sezione: ROMA
Facevo la seconda media e il professor Scaramuzzino, educazione tecnica, mi parlò per la prima volta di Corviale. Me ne parlò come alle medie si parla del Mesozoico, di Marco Polo o della Via Lattea: un oggetto distante, quasi mitologico. Un palazzo enorme che era già rovina al momento della sua inaugurazione. Dev’ essere per questo motivo che la prima volta che mi sono avvicinato a Corviale, per curiosare non per altro, mi sono sentito un po’ colpevole. Mi pensavo un po’ come uno di quei giapponesi che allungano il percorso del tour organizzato e da San Pietro arrivano fin qui, per passare col pullman davanti al monstrum, al palazzo lungo un chilometro, al Serpentone, alla Navicella Spaziale, al Transatlantico, al Colosso. è davvero innegabile l’ attrattiva che esercita questo gigante edilizio adagiato sulle colline del Portuense, un’ attrattiva che riassume in sé lo spaesamento di non poter abbracciarlo con lo sguardo, il fascino kantianamente sublime della massa sterminata di cemento, e anche quella seduzione tutta contemporanea per l’ estetica del fallimento. Corviale è questo: un luogo (anche suo malgrado) simbolico. Da quando negli anni ‘ 70 fu progettato da Mario Fiorentino, che provò a incarnarvi quell’ utopia dell’ edilizia popolare in spazi collettivi, secondo il modello dell’ Unité d’ Habitation di Le Corbusier a Marsiglia. Ma questo spirito idealistico si era già trasformato nel suo opposto prima che gli appartamenti venissero consegnati agli assegnatari Iacp: la città-che-doveva-essere-modello (con mille famiglie ad abitare in verticale; e una sorta di agorà tutta sviluppata su un piano – il quarto – con negozi, botteghe, teatri~) per anni ha invece significato il sinonimo contrario: degrado, periferia, disagio, alienazione. Come Le Vele a Secondigliano, lo Zen a Palermo, Quarto Oggiaro a Milano, come Laurentino 38 a Roma, i prodotti critici di amministrazioni comunali distratte, incompetenti o malamente datesi in pasto ai palazzinari. L’ ostilità è stata tale da dar vita a leggende metropolitane come quella che diceva che il Palazzone toglieva l’ aria a Roma, impedendo con la sua mole il flusso rinfrancante del Ponentino; oppure l’ altra che voleva che Mario Fiorentino fosse morto d’ infarto alla vista del suo figlio frankesteiniano completato. E ovviamente da vent’ anni non è mai mancato chi ha pensato di fare tabula rasa, e abbatterlo Corviale. Ci provano, ci provano ancora, magari per ragioni di campagna elettorale, soprattutto alcuni esponenti di An (che la additano come macchia inespiabile dei comunisti di allora), ma anche architetti importanti come Massimiliano Fuksas, che ogni tanto torna ad intonare: «è un disastroso elemento di rottura, bisognerebbe tirarlo giù e ripristinare una delle più belle colline di Roma».
Fatto sta che oggi il palazzo-quartiere ha più di vent’ anni, e invece del deserto di strutture e servizi, ecco c’ è un centro anziani, una biblioteca, un centro di formazione professionale, un incubatore d’ impresa, comitati di varia natura, circoli, associazioni, compagnie teatrali, centri sportivi, eccetera: e quindi quell’ immagine
stereotipata di incubo urbano non è più esattamente rispondente. Okay, c’ è l’ atavico problema del malfunzionamento degli ascensori oppure quello della pulizia delle scale, ma chi vive qui non si vergogna più di ammettere che viene da Corviale – lo testimoniano bene i risultati del questionario che l’ Osservatorio di quartiere ha proposto a cinquecento inquilini e che sarà pubblicato a giorni. Insomma, pare che
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finalmente si sia creato un amalgama sociale, un’ identità, una coesione. Diciamo una comunità. Dove proprio la questione dell’ appartenenza era stata fin dall’ inizio uno dei nodi problematici: il fatto era che gli assegnatari delle case non erano blocchi legati in nessun modo, erano famiglie che avevano ricevuto lo sfratto, chi a Boccea, chi a Ostia, ma anche a San Giovanni, o in pieno centro storico. La disomogeneità era dunque
originaria, e forse soltanto ora che esiste una seconda generazione di corvialini, si
può pensare di re-immaginare Corviale. Eccoci, non si tratta soltanto di riqualificare, ma di Immaginare Corviale, come si chiama il progetto che – in nome di bassa fedeltà allo spirito utopico della costruzione – vede coinvolti l’ assessorato del Comune di Roma alle Politiche per le periferie, allo sviluppo locale, al lavoro; la Fondazione Olivetti; il Laboratorio territoriale. Si tratta di capire innanzitutto come gestire uno spazio difficilmente organizzabile, come elaborare una concezione della vita condivisa più che pubblica, un’ idea rinnovata rispetto a quella ideologica “dall’ alto” del progetto di Fiorentino. Ripartire dalle microtrasformazioni realizzate negli anni dagli inquilini (le occupazioni e le autocostruzioni del quarto piano, ad esempio) e dalla capacità “dal basso” di immaginarsi in uno spazio comune, di reinterpretare un modello sociale e abitativo. Cosa vuol dire? Per esempio: decostruire mentalmente il molosso, provare a ragionare su una gestione meno unitaria, dividere Corviale in realtà più piccole, autonome, umane. O anche: inventarsi una street tv, un network televisivo condominiale, TeleCorviale. O ancora: ospitare un laboratorio permanente di produzione artistica, visto che questo palazzo ha da sempre attirato artisti, fotografi, videomaker (un lavoro mirabile era per esempio compreso in site specific_roma 04 di Olivo Barbieri presentato all’ ultimo Festival di Fotografia a Roma: le sue immagini fluttuanti, “marziane”, facevano sembrare il palazzo il segno di una civiltà scomparsa o lontana, una presenza magnetica, prodigiosa, come il monolite di 2001 Odissea nello spazio). L’ ultima volta che ripasso a Corviale è un paio di settimane fa, una giornata di quella sospensione del tempo che è l’ agosto romano. Sono con un mio amico dei Castelli e di fronte a questo palazzo in cui non siamo amici di nessuno, con le serrande chiuse e ogni tanto qualche bambinetto che ci sogguarda con sufficienza, sembriamo veramente due attori comici in pensione, due personaggi inediti di Soriano. Lui ha lo sguardo mezzo svagato mezzo tagliente di chi, in questa confidenza data dalla stanchezza, butta nell’ aria questioni sul Mondo, l’ Amore, mi chiede che ne penso dell’ Inizio e della Fine delle Cose; io ho una tendinite devastante che mi fa urlare a ogni passo
e mi spezza le frasi prima di cominciarle, cerco di argomentare il fatto che sono idiosincratico alla parola stessa “fine”, ma appunto non riesco a completare un discorso che mi devo sedere su qualche panchina a massaggiarmi. Allora, ciondoliamo per i garage, scommettiamo con tre ragazzini quale dei quattro ascensori funzionerà, ci scoliamo un litro d’ acqua minerale che compriamo allo spaccio nel sovrascala, passiamo davanti a qualche scritta in cui si dice che qui regnano Sergio e Fra’ e davanti a un’ altra che dice che no qui regna Yanez, sfiliamo per il quarto piano continuamente interrotto da cancelli e inferriate, proviamo a cacciare il muso in appartamenti che sembrano dei loft con un una selva tropicale dentro, ci affacciamo dai ballatoi con lo sguardo che perpendicolarmente si infrange sul cemento a vista dei piani sottostanti, saliamo al nono piano giusto per ricordarci quanto entrambi soffriamo di vertigini. E quando riscendiamo verso la macchina perché giustamente così non posso andare avanti a fare iiiih per
la gamba dolente, mi metto lì a guardare per l’ ennesima volta in vita mia questo palazzo talmente simbolico che forse potrebbe fare da metafora a tutto. Anche per le storie d’ amore, no? Un grande progetto idealista iniziale~ tante difficoltà di manutenzione~ piccole improvvisazioni giornaliere~ la convivenza con i difetti e il tentativo di trasformarli~ Ehi, il futuro promette bene per Corviale, semplicemente questo vorrei dirgli al mio amico. – CHRISTIAN RAIMO
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2004/09/04/il-mostro-lungo-un-chilometro-con-un.html